C’era una volta il lutto, quello stretto e di un solo colore: il nero. Per secoli e secoli la Calabria e naturalmente anche Lamezia non si sono discostate da quella che è stata un’usanza tipica del Meridione. Il dolore per la perdita di un proprio caro doveva essere manifestato per molto tempo e con grande sofferenza e tribolazione.
Il dolore dimensione estrema dell’essere
A seconda del grado di parentela mutava anche l’abbigliamento. Una donna che perdeva il marito in età giovanile doveva praticamente rassegnarsi a vestirsi di nero per tutta la vita; per i primi anni doveva anche coprirsi il capo con un fazzoletto e portare le calze anche d’estate. Il colore era naturalmente total black, nessuna nuance che addolcisse la pesantezza del dolore che doveva trasparire anche dalla trama e dall’ordito del vestito.
Il supplizio era ugualmente atroce se la donna perdeva un figlio: in quel caso la madre afflitta diventava una maschera di dolore, ‘un’addolorata vivente’ che mai più avrebbe trovato pace e conforto.
Sorte diversa per gli uomini che se la cavavano con pochi segni di lutto da portare: la camicia, la cravatta, una fascia da applicare alla manica della giacca. Il colore, non cambiava: era sempre nero. Vivere un lutto in famiglia voleva dire staccare la spina col mondo: radio e televisione dovevano restare mute per tempo immemorabile. E poi, naturalmente, niente cinema, niente teatro, nessuna partecipazione a nessuno spettacolo o festa di piazza. La vita sociale della famiglia colpita dal grave lutto era ridotta all’essenziale.
Le usanze tramandate per secoli
Per il primo mese tassativamente non si usciva di casa. Dopo la messa del trigesimo in memoria del caro defunto, la vita all’esterno delle quattro mura casalinghe ricominciava ma sempre con un basso profilo. Il periodo della Commemorazione dei defunti veniva vissuto con grande pathos. Già diversi giorni prima del 2 Novembre, le tombe dei cari scomparsi venivano ‘addobbate a festa’ perché chi si recava a far loro visita non doveva trovare nulla fuori posto.
I fiori, gli oggettini sacri: sull’altarino non doveva mancare nulla. Era anche consuetudine che al cimitero si andasse a piedi, magari in processione intonando canti all’Altissimo e sgranando rosari. Il culto dei morti seguiva l’ortodossia di usi e costumi tramandati per secoli, retaggio ancestrale di una cultura che ha il suo substrato nella civiltà greca e romana.
Le famiglie a lutto ricevevano la solidarietà e la vicinanza di parenti e amici che si prodigavano a portare vivande nelle case funestate dal tragico evento.
L’evoluzione antropologica del lutto
Dopo il funerale, la casa di chi aveva lasciato per sempre questo mondo, rimaneva aperta per tre giorni. I familiari del morto rimanevano ‘inchiodati’ nella loro abitazione per ricevere visite continue da parte dei conoscenti che esprimevano attestati di stima e di affetto, per chi ormai non era più.
Oggi, nell’era della globalizzazione e dei repentini mutamenti socio-culturali, il lutto è divenuto un fenomeno antropologico in continua evoluzione anche al Sud. Il nuovo rituale funebre del cordoglio unitamente alle sue varie manifestazioni ha messo da parte usanze inveterate che intere generazioni avevano supinamente seguito, più per abitudine che per convinzione.
Funeral hall e annunci mortuari online
Anche a Lamezia e in tante zone della Calabria è ormai quasi sparito il nero del lutto, così come non usa più aprire le case quando viene a mancare una persona cara. Le nuove tendenze hanno sdoganato obblighi e stereotipi, figli di un oscurantismo finalmente superato. La veglia al caro estinto ormai si svolge nelle case funerarie, nelle sale del commiato così come avviene negli States già da molto tempo.
America docet ancora una volta! Il lutto non è più la fine di tutto, la sciagura ineluttabile che si abbatte sulle vite di chi resta. L’ostentazione del dolore lascia spazio ad una composta mestizia, alla razionalità per metabolizzare il lutto. La morte è una delle tante dimensioni della vita da cui, comunque, si può e si deve ripartire. Ei fu! Ma la vita continua e perfino gli annunci mortuari diventano social con le agenzie online che in tempo reale informano su chi è stato chiamato a miglior vita. Dal nero che doveva tingere anche la pelle al funeral book: il trapasso è 2.0.